sabato 21 settembre 2013

FIORDUVA E TINTORE,DUE INTERESSANTI AUTOCTONI DELLA COSTIERA AMALFITANA

Compresa tra la costa e la catena dei monti Lattari, la Costiera Amalfitana è caratterizzata da stradine ripide che si avvolgono intorno alla montagna e da terrazzamenti, chiamati macere, realizzati in tempi antichi, con la tecnica dei muri a secco, in modo da trattenere la pochissima terra esistente per potervi praticare agricoltura e viticoltura.
La terra di riempimento è stata riportata a spalla così come ancora è trasportata a spalla l’uva raccolta al tempo di vendemmia.
Una vera e propria viticoltura eroica qui, come in poche altre zone della penisola.
I muri sono alti piu’ di due metri ma non sono piu larghi di cinque, sono irregolari e offrono spazio in media solo a quattro filari composti a pergola.
Il tutto ricopre in tutto poco meno di 40 ettari di vigneto cresciuto su roccia dolomitica, in terreno tufaceo, spolverato dalle ceneri piovute dopo le eruzioni dl Vesuvio che, da tempo, hanno arricchito il terroir e lo hanno preservato dalla filossera, dal momento che qui tutte le vigne più antiche sono ancora a piede franco.
In questo terreno, un tempo, la vite veniva impiantata direttamente sulla macera, cioè sul muro verticale di contenimento, tra una pietra e l’altra, per utilizzare il terreno sottostante per altre coltivazioni. Il vignaiolo era quasi sempre anche contadino e pescatore perché riusciva a sopravvivere solo grazie a tutte e tre le attività.
Ancora oggi, le vigne più antiche sono impiantate a circa due metri di altezza, attraverso le macere, e i tralci sono sorretti da un reticolato composto da pali di castagno.
In questo straordinario territorio che va dal porto di Amalfi al valico di Chiunzi in verticale, dai 100 ai 700 m. s.l.m.,un tempo si vinificava dappertutto, ogni famiglia lavorava il suo pezzetto di terra e produceva il suo vino, di solito facile e fresco, e, proprio per questa abitudine, sono sopravvissuti molti vitigni autoctoni che sarebbero altrimenti spariti.
La DOC è stata conquistata nel 1995 con la denominazione Costa di Amalfi e comprende l’intera zona collinare,da Vietri a Positano, anche se l’area più vocata è presente nelle sottozone:
Furore, Ravello e Tramonti.
Si è verificata, in questa zona in particolare, la conservazione di specie antichissime dell’antico patrimonio varietale, non distrutto dalla filossera, 28 vitigni bianchi e 14 rossi ma, secondo l’enologo e ricercatore campano Luigi Moio, molti di più. Nel solo comprensorio di Furore, zona della Costiera particolarmente vocata, sono presenti per i bianchi, vitigni come Falanghina, Biancolella, Fenile, Pepella, Ripolo, Ginestra.
Per i rossi: Aglianico, Aglianicone, Piedirosso,Sciascinoso, Tintore, Tronto.

Con il riconoscimento della DOC, la Costiera Amalfitana con le sue tre sottozone è cambiata in meglio.
A dare il via al cambiamento è stata Marisa Cuomo che ha iniziato l’attività nel 1983 ed è poi stata seguita da altri, al punto che queste piccole realtà offrono ora vini sempre più interessanti ed emozionanti.
Vale la pena di riportare la storia di Marisa Cuomo.
Nel piccolo comune di Furore esisteva l’Azienda Gran Furor Divina Costiera, che, dal 1942, produceva vini prodotti con uva proveniente dai terrazzamenti della costa di Furore; essa venne acquistata da Andrea Ferraioli, ultimo discendente di un’antica famiglia di vinificatori, che la offrì come dono di nozze alla moglie Marisa Cuomo ed, insieme, ripresero la tradizione di famiglia.
Dal 1980 in poi in quei minuscoli pezzetti di terra inondati dal sole e rinfrescati dalla brezza del mare, furono impiantate sotto la consulenza dell’enologo Luigi Moio, le barbatelle di vitigni del luogo, quelli più tradizionali e quelli più antichi, abituati a crescere sulla roccia come il Coda di Volpe, la Bianca Zita, la Bianca Tenera, il San Nicola, il Ripoli, il Fenile, la Ginestra per i bianchi.
L’attività fu premiata, nel 1995, con il riconoscimento della Doc Costa d’Amalfi e da riconoscimenti nazionali ed internazionali dei vini della zona.
Tra i prodotti dell’Azienda di Marisa Cuomo : Fiorduva, Furore Bianco, Ravello Bianco, Costa D’Amalfi Bianco, Costa D’Amalfi Rosato, Furore Rosso, Furore Rosso Riserva.
Il Fiorduva vinse l’Oscar del vino nel 2006.
Oggi l’azienda produce vini di grande prestigio da uve provenienti da oltre 15 ettari di vigneti, di cui 3,5 di proprietà e i restanti coltivati da viticoltori dei territori di Furore, Ravello, Scala, Cetara e Vietri sul Mare.
Il vino è conservato in una cantina scavata nella roccia.

Dopo quest’esempio, seguirono altre produzioni di pregio da parte di Ettore Sammarco, di Giuseppe Apicella, della Tenuta San Francesco, dell’Azienda Agricola Reale, da Le vigne di Raito, da O Cammariello, da Mario Mazzitelli.
La produzione è complessivamente piccola, solo 260.000 bottiglie ma la qualità è generalmente notevole.

Tra i vini della zona, tuttavia, due sono degni di una menzione particolare perché veramente originali, di ottima qualità e vinificati esclusivamente con uve provenienti da vitigni autoctoni :

FIORDUVA di Marisa Cuomo

TINTORE di Azienda Reale.

Il Fiorduva è prodotto dall’Azienda Marisa Cuomo con uve provenienti da 15 ettari di vigneti, di cui 3,5 di proprietà e i restanti tenuti da viticoltori di Furore, Ravello, Scale e Vietri.
I tre vitigni autoctoni che compongono il suo bouquet, Ginestra 30%, Fenile 30% e Ripoli 40%, coltivati a pergola su rocce dolomitiche-calcaree, tra i 200 e i 550 m.s.l.m.e con una resa di soli 60 q./ha, fanno del Fiorduva un vino luminoso e intenso, di bella consistenza, floreale e fruttato, dal colore vivace e carico, ben strutturato, con nette note di frutta gialla e di macchia mediterranea, con fondo mielato e un pizzico di anice.
Un ottimo vino.

Il Tintore viene prodotto in purezza con uve del vitigno omonimo, autoctono e centenario, coltivato a piede franco e molto propenso all’invecchiamento.

Coltivato in alto, sulla montagna, in terroir con brezza marina costante e su terra rossastra, tufacea e argillosa, mista a sabbia e lapilli vesuviani.
Si presenta di color rosso intenso, ed infatti un tempo era utilizzato per colorare altri vini, al naso dona sentori di mirtillo e prugna, ciliegia e more,liquirizia e sottobosco.
Potente, con un bel tannino, vino robusto e interessante.
Fu Prisco, il figlio di Peppino Apicella che decise di vinificare il Tintore in purezza e fu seguito da altri con interesse.
Vino fresco e potente,con morbidezza, acidità e tannini in equilibrio, viene prodotto in sole 1500 bottiglie ed è un vero e proprio distillato rosso della sua terra.
monti lattari,





sabato 1 giugno 2013

ALBAROSSA,VITIGNO PIEMONTESE FIGLIO DI PIEMONTESI



Un bel nome pittorico e immaginifico “Albarossa”e una storia lunga, che inizia nel 1938 e che vale la penna raccontare:
negli anni Trenta, il prof.Giovanni Dalmasso, ampelografo di grande autorevolezza e professore all’Università di Torino, nonché fonte importante, per i suoi studi e per i suoi contributi scientifici, per la redazione dei disciplinari di produzione dei vini DOC e DOCG, realizzò una serie di incroci varietali che non vennero utilizzati ma archiviati in una collezione viticola della regione Piemonte.

Una cinquantina di anni dopo, però, il prof. Mannini del Cnr di Torino, decise di studiare da vicino questi incroci, impiantandoli nella Tenuta Cannona, centro sperimentale vitivinicolo della regione Piemonte che, tuttora, si trova nel comune di Carpeneto (AL) tra le colline dell'Alto Monferrato e si estende per 54 ettari, di cui 20 destinati a vigneto a gestione sperimentale e la restante parte a bosco e seminativo.
La gestione e' assicurata da una societa' responsabilita' limitata a cui partecipano Regione Piemonte (che ha la proprietà della Tenuta), Vignaioli Piemontesi, Associazione Produttori Moscato d'Asti, Comune di Carpeneto.
Tra questi incroci c'era, appunto, l'Albarossa, un vitigno a bacca nera ottenuto dall'incrocio di 'mamma” Barbera e papà” Nebbiolo.
Probabilmente l'intento originario fu quello di ottenere una varietà che compendiasse in sé i pregi dei due più importanti vitigni piemontesi.
In realtà, le ricerche genetiche effettuate in epoca più recente hanno chiarito che il vero 'padre” dell'Albarossa non è il celebre Nebbiolo, ma il meno conosciuto Chatus (detto anche Nebbiolo di Dronero).
Quest'ultimo è una varietà autoctona alpina, storicamente coltivato sulle pendici ai piedi delle Alpi Marittime che in Francia è riscontrabile nella zona dell'Ardèche e in Piemonte è maggiormente diffuso nelle aree di Saluzzo, Pinerolo ed in Savoia.


Si tratta, quindi,di un vitigno, dall'animo assolutamente piemontese, autoctono a tutti gli effetti. Questa nuova, più completa, sperimentazione confermò e rafforzò le prime impressioni.
L'Albarossa si è dimostrata un'ottima cultivar, capace di offrire ottimi risultati di produzione e di vinificazione anche se occorre tenere presenti le sue necessità in quanto richiede terreni asciutti e posizionati in colline particolarmente soleggiate, con suoli calcarei e ricchi di microelementi; è comunque in grado di generare un grande e moderno vino di grande impatto visivo e olfattivo,che conserva integri i caratteri di piemontesità nella freschezza e nella presenza morbida dei tannini.
Dal 2001 è inserito nella lista “Vitigni idonei alla coltivazione in Piemonte”ed è stato coltivato in provincia di Alessandria, di Cuneo e di Asti.
Ha grappolo medio-piccolo, buccia di colore blu-nero, molto pruinosa, raggiunge una maturazione medio-tardiva, verso la prima decade di ottobre; presenta elevata vigoria in quanto offre produzione abbondante e costante , preferisce allevamento a contro- spalliera e a guyot, si adatta generalmente bene alle avversità climatiche.
Inoltre, trattandosi di un vitigno a maturazione tardiva occorre riservare all’Albarossa i vigneti di collina con buone esposizioni. In tali condizioni dà origine a vini che hanno sia una buona potenza alcolica, sia la morbidezza vellutata di una ricca componente polifenolica che non presenta eccessive punte di astringenza.

Il risultato è un vino dalla bellissima intensità cromatica,un bel colore rosso rubino con sfumature violacee, dotato di un bouquet intenso e complesso in cui prevalgono le sensazioni fruttate su quelle floreali ed alle quali si può aggiungere una spiccata componente speziata.
In bocca è ricco e caldo, grazie all’elevato tenore in alcol e glicerina, ben strutturato, armonico e vellutato, di elevata pienezza e persistenza gustativa.Si affina ottimamente sia in botte grande che in barrique.
Attualmente, le uve Albarossa rientrano in due denominazioni di origine: “Piemonte Albarossa” e, insieme ad altre uve, nella denominazione “Monferrato rosso”.
Il disciplinare di produzione Piemonte Albarossa prevede:
Vigneti:composti da Albarossa per almeno 1'85% e possono concorrere, per la restante parte, altri vitigni a bacca di colore analogo, idonei alla coltivazione nella regione Piemonte.
Uve : resa 9.000 kg/ha con un titolo alcolometrico volumico minimo naturale di 12% vol.
Vino: 12 mesi di invecchiamento con titolo alcolometrico volumico totale minimo 12,50% vol.; acidita' totale minima 4,5 g/l ;acidita' totale massima 7,5 g/l ;estratto non riduttore minimo 26 g/l.
Si adatta a carni, formaggi, sughi ricchi ed arrosti.
Ottimo produttore di Albarossa l'Azienda Agricola convento dei Cappuccini di Pierluigi Botto
viale Simondetti 4 Cassine (Al)

martedì 28 maggio 2013

CINZIA BERGAGLIO, UNA STORIA DI FAMIGLIA


Accogliente e sorridente come sempre mi accoglie al cancello della sua casa di Tassarolo, frazione di Gavi, circondata dai vigneti e, davanti ad una tazza di caffè, mi racconta la storia della sua vita e della sua scelta di diventare produttrice di Cortese.
Cinzia Bergaglio è, dal 2002, la produttrice di un ottimo Gavi DOCG in due versioni, da lei stessa definiti “due vini diversi”:
La Fornace, delicato e fresco e Il Grifone, più fruttato e sapido.

Mi spiega subito che la differenza dipende dai differenti crù, il primo situato a Tassarolo in terreno calcareo argilloso ma estremamente ricco di ferro, l’altro, il secondo, situato a Rovereto , argilloso e ricco di zolfo, due zone vinicole vicine ma molto diverse,poste sulla stessa collina.
Entrambi vinificati in acciaio, per il Grifone si attua un contatto del mosto sulla feccia per un mese,pratica che dona al vino sapidità, persistenza e buona durata.
Ama i suoi prodotti, Cinzia, anche l’ultimo nato, il “Pulein”, il pulcino di casa, un metodo classico che sta mettendo in cantiere con uvaggio di Cortese al 100%.

Bergaglio è cognome diffuso nella zona di Gavi, mi dice, il cognome di suo padre e quello di sua madre che non erano parenti…qui c’è anche un paese che si chiama così.
Cominciò a “fare vino”da bambina,negli anni Settanta,prima con il nonno poi con il padre Nini che , pur vivendo a Genova, non riusciva a dimenticare le colline delle sue origini e che, trasferitosi con la famiglia, divenne il fattore della Scolca, tenuta la cui produzione di Gavi era già allora conosciuta e notevole e dove già Vittorio Soldati, cugino dello scrittore Mario, si era reso conto delle immense possibilità enologiche di quel terreno. Acquistò poi un terreno di proprietà dei Marchesi Spinola, lo disboscò, impiantò le prime vigne e cominciò a fare il vino per altri produttori.
Erano tempi diversi, quando i piccoli vignaioli,allora privi di macchine sofisticate vendemmiavano in maniera artigianale e torchiavano l’uva…fino all’ultima goccia.Cinzia, ricorda, ricavava tutto dal grappolo ed, in memoria di quei tempi,il suo primo vino si chiamò così “Goccia secca,” l’ultima goccia da ricavare dal grappolo dorato, quando sembrava che non ci fosse più nulla da spremere. Ed ancora oggi il suo vino base ha mantenuto lo stesso nome.

Dagli anni Settanta in poi il Gavi ebbe un successo crescente ed una notevole diffusione, dovuta, oltre alla qualità del prodotto, anche a Mario Soldati che veniva a visitare queste colline mentre scriveva il suo libro “Vino al Vino”e lo fece conoscere attraverso le sue pagine.
Il Gavi ha ottenuto il riconoscimento DOC nel 1974 e il DOCG nel 2010.
Trasferitisi ormai tutti i Bergaglio a Rovereto, Cinzia decise di mettersi in proprio nel 2002, di fare vino suo e, aiutata dai famigliari, dal padre Nini , dal marito e dai figlio Mattia e Michela, oggi possiede e cura otto ettari di vigneto, quasi tutto coltivato a Cortese.
Mi mostra le sue piantine che crescono ben attorcigliate nei filari a guyot perché possano prendere tutto il sole che c’è e mi parla del terreno,dei mesi passati in vigna, della vendemmia e della vinificazione, più facile ora che un tempo con la fermentazione termo controllata ed i lieviti selezionati, diversa da quando ricorda di fermentazioni che partivano spontaneamente e non lasciavano dormire sonni tranquilli…
Di anno in anno, mi dice,il vino sceglie il suo tempo per essere pronto, non bisogna avere fretta, saperlo ascoltare e seguire i suoi tempi..

Cinzia comunica passione, la passione per la sua terra e il suo lavoro, dalle piantine che crescono nella vigna alla bottiglia che mostra con orgoglio perché è lei che ne ha voluto la produzione.
“Il vino è una grande passione che si rinnova tutti gli anni e il mio compito non è ancora finito” mi dice mostrandomi orgogliosa l’ultimo nato, Il “Pulein”, un metodo classico di Cortese in purezza, nove mesi sui lieviti e remuage a mano, bottiglia per bottiglia.
La produzione è, per ora, all’inizio ma si vedrà…
Intanto Cinzia sta pensando ad altri vitigni…
Osservando il suo entusiasmo che comunica con le sue parole ed il suo sorriso, viene davvero da pensare che, in questo genere di lavoro, è la passione la qualità più importante, l’amore per la terra e per il vino che davvero regala la sintesi e la poesia del territorio.