domenica 29 ottobre 2017

VINI & VITIGNI: LA CULTURA DEL VINO IN AUSTRIA

VINI & VITIGNI: LA CULTURA DEL VINO IN AUSTRIA: LA CULTURA DEL VINO IN AUSTRIA Durante la serata di degustazione dedicata alla viticoltura austriaca presso Onav Milano, Willi Klinger, di...

LA CULTURA DEL VINO IN AUSTRIA

LA CULTURA DEL VINO IN AUSTRIA

Durante la serata di degustazione dedicata alla viticoltura austriaca presso Onav Milano, Willi Klinger, direttore dell’ Austrian Wine Marketing Board ci ha simpaticamente raccontato la storia dello sviluppo enologico del suo paese, soprattutto in seguito a quella che fu definita “ la rivoluzione dell’ottantacinque”, quando, dopo un periodo non favorevole per la vinicoltura, ebbe inizio una sorta di svolta produttiva e commerciale per la scoperta che gli esperti di tutto il mondo fecero e cioè che alcuni dei più grandi bianchi erano prodotti da vitigni coltivati in Austria, soprattutto lungo il Danubio, dove il Riesling ha sempre trovato un habitat naturale sulle ripide terrazze sul fiume e il Grüner Vertliner ha sempre prosperato su terroir calcareo con una particolare e rara base di sedimento di loess di origine eolica.
Per trent’anni, poi, si è verificato un grande impegno da parte dei produttori di vino, nelle regioni storiche di viticoltura, estese nella parte est del paese, in particolare nelle quattro macrozone vocate ma, al tempo stesso, diverse per tipologia del terreno e condizioni microclimatiche:
il Danubio, il Wenviertel, la Pannonia e la Stiria.
Oggi la superficie vitivinicola in Austria è di quasi 50.000 ha. coltivati da ben 32.000 vignaioli che producono 2,5 milioni di ettolitri di vino.
Certo, afferma Klinger, ancor oggi la situazione climatica favorisce i vini bianchi che costituiscono due terzi della produzione, mentre i vini dolci beneficiano della botrytis cinerea che si crea in autunno nei pressi di fiumi e laghi, ma la gamma dei vini prodotta in Austria è ora decisamente variegata, e, come tiene a sottolineare Vito Intini, durante la degustazione della serata, ciò che stupisce sono i vini rossi che si mostrano di livello e di qualità.
La cultura del vino è molto sviluppata in Austria, la superficie vitivinicola austriaca è di quasi 50.000 ha. I vigneti vengono coltivati da 32.000 vignaioli.
In Austria esistono numerose Weinstrassen (strade del vino); le più note si trovano nella Burgenland, nel Niederösterreich e in particolare nella regione della Stiria. Autentici itinerari dedicati a questa bevanda per una lunghezza complessiva di oltre 250 km; i percorsi consentono di attraversare città come Graz, borghi e località come Klock, Furstenfeld, Bad Radkersburg e sostare su morbide colline ricoperte di vigneti dove pullulano i Buschenschenken, ovvero i tipici agriturismi austriaci, dove degustare e assaporare vini locali oltre a prodotti gastronomici.
La situazione climatica favorisce i vini bianchi che costituiscono due terzi della produzione, mentre i vini dolci beneficiano della botrytis cinerea che si crea in autunno nei pressi di un ampio lago, il Neusiedler See.

La gamma dei vini prodotta in Austria è decisamente variegata, tuttavia c'è una caratteristica costante che li distingue dagli altri vini internazionali: la freschezza aromatica abbinata alla piena maturazione fisiologica dell´uva. Non c'è altro posto al mondo dove i vini freschi sono così compatti e concentrati, i vini opulenti tanto agili e scattanti. Soprattutto i vini bianchi hanno riscosso grande successo in tutto il mondo
Le aree destinate alla vite si sono oggi ridotte a vantaggio della qualità del prodotto finale. La produzione è ricavata per la maggior parte da uve monovitigno di circa 25 varietà diverse, quasi tutte bianche per la verità. La gradazione media dei vini austriaci si aggira intorno agli 11-12 gradi, ma ve ne sono alcuni che raggiungono i 13-14. Il vitigno più diffuso è il Grüner Veltliner, un bianco della zona di Vienna, nella Bassa Austria. Viene vinificato come Qualitätwein, poco invecchiato e dal sapore speziato. Ha una gradazione che fluttua dai 9 gradi per i bianchi agli 8 per i rossi. Il Grüner Veltliner va d’accordo con molte pietanze, raffinate o semplici. Vinificato invece come vino dolce senza aggiunta di succo d’uva, ovvero Prädikatswein, può invece invecchiare per molti anni.

Il più famoso Riesling x Sylvaner, più conosciuto come Müller Thurgau, è un vitigno creato alla fine dell’Ottocento mediante alcuni incroci; si tratta di un vino fresco, favorevole alla stagione estiva con un leggero gusto di noce moscata e con un colore variabile dal bianco carta al paglierino.

Esiste poi il Rheinriesling, il Riesling renano, apostrofato in genere come il re dei vini bianchi. È tipico soprattutto della regione del Donauland e di Vienna. Questo preparato si concede ad un buon invecchiamento oltre ad offrire una discreta acidità e un retrogusto amarognolo e asciutto.
Completamente diverso è invece il Welschriesling, dal colore che va dal giallo oro all’ambrato, con un aroma fruttato e delicato, un sapore quasi morbido; va gustato molto giovane. Il Sauvignon Blanc viene prodotto nella Stiria meridionale e nelle zone del Neusiedlersee; anch’esso viene monitorato soprattutto nel suo grado di acidità e nel saper conservare un gusto fruttato. La Stiria è anche la regione dello Schilcher, un rosato o rosso chiaro, secco, ma leggero e un po’ acido e il bianco Gewürztraminer. Esiste anche il Morillon ovvero lo Chardonnay in salsa austriaca che propone due varianti: quella diciamo più tradizionale e rustica che mantiene un aroma forte, decisivo e una certa acidità; l’altra che, attraverso specifiche procedure, viene edulcorata per offrire un gusto più leggero e meno aspro.

I rossi sono una prerogativa del Burgenland, o meglio da lì si dice vengano quelli migliori. Ve ne sono di diversi tipi come il Blaufränkisch, il Beerenauslese, il Trockenbeerenauslese. Il primo viene descritto come un rosso sapido, con forti note speziate ideali per le serate invernali; gli altri due sono vini dolci ottenuti da acini colpiti da muffe particolari in grado di favorire la perdita d’acqua nell’acino e dunque l’accumulo di zuccheri. Il vitigno rosso più diffuso in Austria sembra essere lo Zweigelt, in particolare il Blauer Zweigelt, un incrocio fra il St. Laurent e il Blaufränkisch; l’aroma è ricco e il gusto pastoso da accompagnare con carne e formaggi. Non va poi dimenticato il novello a semifermentazione commercializzato soprattutto in autunno, lo Sturm; vino leggero dal gusto gradevole, ma dal tenore alcolico medio alto.

Oltre a bar e ristoranti un locale alternativo per buone degustazioni è l’Heuriger, una sorta di taverna o osteria. In passato era un luogo attiguo alle cantine che il produttore apriva al pubblico per la degustazione di vini prima di un eventuale acquisto. Per tutti gli appassionati, ma non solo, l’Austria rappresenta dunque un piccolo paradiso enologico; non resta che dire: Prosit!

mercoledì 20 settembre 2017

VINI & VITIGNI: IL VINO GIAPPONESE AUMENTA LA SUA PRODUZIONE

VINI & VITIGNI: IL VINO GIAPPONESE AUMENTA LA SUA PRODUZIONE: Nell’isola più settentrionale dell'arcipelago, l’isola di Hokkaido, terra di vulcani, montagne, laghi e sorgenti termali che, anche nei...

IL VINO GIAPPONESE AUMENTA LA SUA PRODUZIONE


Nell’isola più settentrionale dell'arcipelago, l’isola di Hokkaido, terra di vulcani, montagne, laghi e sorgenti termali che, anche nei mesi più caldi, gode di un clima fresco e secco, rispetto al caldo torrido delle isole più a sud, sta aumentando la produzione di vino giapponese.

In Giappone, la cultura del vino è piuttosto recente a causa del fatto che la sua diffusione è stata sempre limitata dalle antichissime tradizioni di questo Paese, da sempre chiuso alle influenze occidentali, che lo legavano al consumo di tè, sakè, birra e whisky. All’inizio era prodotto all’80% con vini d’importazione e per il restante 20% si aggiungeva del vino locale: secondo la legislazione nazionale, bastava il 5% di componenti locali per definirlo “vino giapponese” e questa fu una delle ragione del rifiuto da parte della CEE.
Solo di recente le regioni hanno introdotto il Gensanchi Hyoji, un marchio per indicare i vini ottenuti da sole uve giapponesi e solo di determinate zone – concetto simile alle nostre DOC o alle AVA americane.
La storia del vino in Giappone ebbe il suo vero e proprio successo negli anni della cosiddetta epoca “lumiere”, tra il 1868 ed il 1912, quando l’esercito Imperiale si apprestava a vivere il colonialismo e si cercò, dunque, un sostituto del sakè, in quanto il riso era riservato esclusivamente per sfamare il popolo, come bevanda alcolica per alleggerire il morale delle truppe.
Fu allora, nel 1870, che due uomini d’affari giapponesi si lanciarono nel business cominciando a produrre, quattro anni più tardi, circa 900 litri di bianco e 1800 litri di rosso con scarsi risultati, tanto che furono costretti a chiudere nel 1877. Fino al 1945 tutta la produzione di vino era destinata all’esercito che fu anche l’unico consumatore negli anni seguenti. Fu solo nel 1970, in occasione dell’esposizione universale di Osaka, che furono aperte le frontiere alle bevande alcoliche straniere e fu allora che il vino divenne una bevanda chic e ricercata, tanto che dieci anni dopo venne aperto il primo Wine Bar nella capitale giapponese.

Oggi i vigneti giapponesi si estendono su circa 20.000 ettari sulle due isole di Hokkaido e Honshu: il cuore della coltivazione è situato ad ovest di Tokyo nei dipartimenti di Yamanashi, Nagano e Kanagawa. La regione maggiormente portata alla coltivazione della vite è quella di Yamanashi, a circa un centinaio di km dalla capitale Tokyo, sulle pendici occidentali del monte Fuji; sebbene il clima non sia particolarmente favorevole alla coltivazione enologica per la pluviometria molto alta ed i terroir troppo fertili e con alta dose di acidità, il vino giapponese, collegato al successo sempre crescente del sushi, si sta sviluppando con ottimi risultati grazie alla scelta e alla coltivazione di vitigni che ben si sono adattati al clima: il Muller Thurgau, il Riesling, il Gewurztraminer a bacca bianca; il locale Koshu a bacca rossa; il Muscat Bailey, il Cabernet Franc, il Merlot a bacca nera.
Si producono vini rossi o rosati molto semplici, con profumi floreali e fruttati, con una viticoltura a bassa densità di impianto e con sistema di allevamento a tendone.
In particolare il vino prodotto dal Koshu, vitigno a bacca rossa ma vinificato in rosato, originario del Caucaso ed arrivato in Giappone grazie alla via della seta, produce uva molto carnosa e gustosa, dalla buccia leggermente rosa: il vino prodotto è tendenzialmente aromatico, con una grande finezza e leggerezza di corpo e con un tasso alcolico molto basso, particolarmente adatto alla cucina giapponese; è stato descritto come “un vino molto promettente, leggero, dalla grande personalità, flessibile in quanto si adatta a numerosi stili di cucina”.
Hokkaidō Kerner è un altro vino degno di menzione: bianco asciutto, fermentato ad una giusta temperatura, si adatta bene ai piatti di pesce e di crostacei.

Di recente, il nord del Giappone è diventato, dopo la Gran Bretagna, anche l’ultima frontiera dello spumante: in soli quattro mesi è stata costruita una nuova cantina con criteri antisismici e circondata da un vigneto di 17 ettari. Con un finanziamento giapponese ma con impostazione e guida tecnologica di esperti italiani.

Nobuo Oda, presidente della Camel Group, con la consulenza dell’enologo italiano Riccardo Cotarella, qua ha acquistato e impiantato, quattro anni fa, vigneti di bianchi Kerner e Chardonnay, di rossi Regent, Pinot Noir e Lemberger.
Ora sono in vendita le prime bottiglie e gli spumanti di quelle uve, secondo Cotarella, verranno portati al Vinitaly 2018, metà Metodo classico, metà Charmat.
E’, inoltre, in previsione un grande rosso, prodotto tipico di quella terra.
In tanto fervore di attività, i sindaci della regione di Hokkaido affermano che, in effetti, stanno aumentano i corsi di enologia ed è in continua crescita il numero dei giovani che vogliono aprire cantine. Un cambiamento di rotta in un Paese abituato a superalcolici e birre ma che ora sta aumentando il consumo di vino, prodotto che,
anche se ancora piuttosto di nicchia, viene ad apparire sempre più nelle tavole giapponesi, sopratutto per merito delle donne e dei giovani.

sabato 9 settembre 2017

VINI & VITIGNI: UNA VISITA A FURORE

VINI & VITIGNI: UNA VISITA A FURORE: Andare a Furore è sempre una gita particolarmente gradevole ma, in particolare, alloggiare all’Hotel Bacco e gustare una cena cucinata dalla...

UNA VISITA A FURORE

Andare a Furore è sempre una gita particolarmente gradevole ma, in particolare, alloggiare all’Hotel Bacco e gustare una cena cucinata dalla signora Erminia con i piatti accompagnati dai vini dell’Azienda di Marisa Cuomo è ancora più intrigante.
All’Hotel Bacco si sono potuti gustare un Baccalà pastellato su vellutata di patate accompagnato da un calice di Furore Bianco Costa d’Amalfi, un piatto di Linguine alla colatura di alici con Costa d’Amalfi bianco, i Cavatelli alle foglie di cappero con Furore Rosso e i totani alla volpe pescatrice con Furore Rosso Riserva ed, infine, Tozzetti all’Elisir con Fiorduva.
Se ottimi sono stati l’abbinamento e la scelta dei vini, ineguagliabile è stata la compagnia di Marisa Cuomo e di Andrea Ferraioli come compagni di cena.
Sui vini dell’azienda di Furore credo sia stato detto tutto ormai; uno degli ultimi premi per la loro produzione è stato assegnato solo pochi giorni fa ed è la prestigiosa "Targa Internazionale del Leon d'Oro di San Marco", riservata a un massimo di soli cinque imprenditori che saranno nominati "Cavalieri del Lavoro", riconoscimento riservato alle aziende che contribuiscono alla crescita dell'economia italiana.
E nell’ambito di una cena festosa e amichevole, Andrea ha raccontato la storia delle famiglie Ferraioli e Cuomo, in contatto dal primo dopo guerra per una serie di vicende matrimoniali e di come entrambe siano state legate al mondo del vino fin dal 18° secolo, quando il vino era una bevanda, un alimento che doveva apportare soprattutto calorie. Dopo il matrimonio con Marisa, si è creata l’azienda che è cresciuta, dal punto di vista imprenditoriale, con il supporto di tanti piccoli produttori, conferitori di uve.
La coppia emana una complicità lavorativa e di vita che va oltre le parole, la loro complementarietà si manifesta in più occasioni: Marisa solida e di poche parole, Andrea un vulcano di iniziative e di simpatia.
Proprio Andrea, l’indomani, guida la visita alla cantina e alla bottaia e racconta la storia dell’azienda, nata con fatica nel 1983 in un territorio con scarse risorse economiche e in un contesto culturalmente non facile, dove uno dei problemi principali incontrati è stata la disomogeneità dei territori dal punto di vista pedoclimatico perché si tratta di fazzoletti di terra aggrappati alla roccia.
Ma i tantissimi vitigni locali, le ben 42 varietà di autoctoni, alcuni dei quali nemmeno ancora classificati, ha reso questa terra unica e il suo vino non imitabile in nessun altro luogo. Per questo motivo, Marisa e Andrea, su consiglio dell’ enologo, Luigi Mojo, consulente della cantina, hanno deciso di valorizzare le peculiarità dei vitigni della loro terra.
La bottaia delle Cantine Marisa Cuomo è scavata nella roccia e Andrea mostra con legittimo orgoglio le pietre laviche di 250 chili su cui poggiano le travi di castagno che sorreggono le barrique, ad una umidità costante al 90%. Subito fuori, un micro laboratorio per le analisi tecnico-enologiche.
La visita continua con i vigneti con pendenze anche del 60%, allevati in un territorio dolomitico calcareo, da ambiente marino, in seguito arricchito da ceneri e lapilli e rinfrescato dal costante influsso della brezza marina.
E mentre, con gli occhi brillanti, Andrea afferma che
“fare vini in questa terra è perdente, è difficile” ma che “ io vedo oltre le montagne quello che succederà dopo, ho la capacità di vedere oltre gli ostacoli”, ci indica gli stretti e ripidissimi terrazzamenti con piante a piede franco, dove è praticamente impossibile un sistema di meccanizzazione. Ma le uve di questa terra sono la base di grandi vini, in particolare il Ripoli, il Fenile, la Ginestra e poi ancora l’Aglianico, la Biancolella, la Falanghina e tutti gli altri.
Il Fiorduva, fiore all’occhiello dell’Azienda, che prende il nome dal fiordo di Furore, nacque nel 1995 e fu degustato nel 2000 da Luigi Veronelli che lo definì” un vino appassionante che sa di roccia e di mare”.
Da allora il Fiorduva viaggia per il mondo.




sabato 27 maggio 2017

VULCANI E VINI

Interessante sia per l’approfondimento geologico in materia di terroir creato da magma lavico, sia per la degustazione di otto vini veramente notevoli, la serata organizzata da Onav Milano sul tema “I vini dei vulcani”, condotta dal Presidente Intini, che ha messo in evidenza la vastità dell’estensione dei territori vulcanici in Italia e nel mondo.
A parlare di valore dei vulcani, oggi, nel campo della produzione enologica, sono stati per primi i promotori di “Volcanic Wines”, associazione nata nel 2009, che raccoglie al suo interno le doc italiane di origine vulcanica, assieme ad enoteche e a comuni che sono accomunati dal “fattore vulcano”. Aldo Lorenzoni, direttore del Consorzio, afferma, a questo proposito, che “i valori del vulcano sono di grande attrazione e, sostanzialmente, tutti positivi perché significano rigenerazione, forza, potenza..”
I suoli costituiti o originati da vulcanoclasti ricoprono circa 124 milioni di ettari nel mondo. In termini di paragone, rappresentano quattro volte la superficie dell’Italia, circa l’1% della superficie della Terra, fornendo sostentamento al 10% della popolazione mondiale: dato che esprime in maniera chiara il concetto di “fertilità” spesso attribuito alla terra dei vulcani in tutto il mondo.
I suoli vulcanici sono distribuiti prevalentemente lungo i bordi delle placche tettoniche o in loro prossimità. Tra le principali zone vitivinicole mondiali costituite quasi interamente da questo tipo di suoli possiamo elencare Napa Valley (California), Casablanca Valley (Cile), Santorini (Grecia), Rias Baixas (Spagna), Stellembosch (Sud Africa), Isole Azzorre (Portogallo), Alture del Golan (Isralele), Yarra Valley (Australia).
In Italia i principali distretti produttivi di questo tipo si trovano, partendo da nord, in Alto Adige, nella zona di Terlano, nel Soave, ai piedi dei Monti Lessini e sulla parte collinare dei Colli Euganei, in Toscana, zona Pitigliano, nell’areale dei Castelli Romani, nei territori di Orvieto e Montefiascone, nel Frascati e nel Viterbese, a Roccamonfina e a Galluccio in provincia di Caserta, nella zona del Vesuvio e dei Campi Flegrei in Campania, nella zona del Vulture e nell’arcipelago delle isole Eolie, sull’Etna e a Pantelleria in Sicilia, nell’areale di Mogoro, in provincia diOristano.
Nel suo complesso, la superficie vitata su cui insistono le doc di origine vulcanica ammonta a 17.050 ettari, per una capacità produttiva di 1.262.923 ettolitri di vino, che in termini di bottiglie corrispondo a 150 milioni di bottiglie.
Ma quali sono le componenti che rendono unici i vini prodotti all’interno delle zone vulcaniche?
Intanto va precisato che, molto spesso, la viticoltura di queste aree e sulle pendici dei vulcani è frutto di una incessante azione di costruzione del territorio, attraverso lavori di contenimento morfologico e di terrazzamento che richiedono un intervento continuo. Ma l’ingrediente segreto della loro caratteristica consiste nella composizione dei suoli, che, a loro volta, sono figli delle differenti attività vulcaniche. Le eruzioni vulcaniche, che possono manifestarsi sia come emissioni all’esterno di materiale solido, come i lapilli e le bombe, sia con la fuoruscita di ceneri o, ancora, con la classica colata lavica o allo stato gassoso, sono generatori di nuove realtà geologiche e un bonificatore di terreni sterili: ciò che esce dal vulcano è molto fertile.
Se l’elemento essenziale del magma è la silice la cui percentuale varia dal 50 al 70 %, il resto è composto da una miscela di altre sostanze e proprio l’eterogeneità, che vuol dire ricchezza di potassio, fosforo, zolfo, calcio, sodio, magnesio e di microelementi quali ferro, manganese, rame e zinco, è la chiave di lettura della particolare caratteristica dei luoghi vulcanici.
Esistono, poi, differenze tra i suoli vulcanici e sono sia dovuti alla struttura fisica, dai più leggeri come quelli costituiti dalla pomice dell’isola di Salina ai più pesanti ed argillosi dei vigneti dei Lessini e di Soave, ai tufi di Montefiascone ed alle sabbie di Frascati, sia alla composizione chimica, da quelli basici derivati dalla degradazione dei basalti, a quelli neutri e subacidi costituiti da porfidi e graniti, rispettivamente di Terlano e della Gallura, da quelli ricchi di scheletro dell’Etna alle ceneri dei vigneti del Vesuvio.
In generale, però si può affermare che nessun altro suolo derivato da matrici calcaree o moreniche o metamorfiche ha una tale ricchezza di minerali.
Tutte le aree vulcaniche sono a fortissima vocazione vitivinicola e caratterizzate da produzioni di assoluto pregio, in particolar modo per quanto riguarda la tipologia dei vini bianchi (ma non mancano illustri esempi di produzione di vini rossi). E’ evidente che esiste una relazione tra suoli composti da basalti, tufi, pomici e la ricchezza gustativa e l’equilibrio che si riscontra normalmente nei vini bianchi prodotti in questi terroir.
Dal punto di vista sensoriale e organolettico, in un mondo in cui è sempre più difficile distinguere un vino da un altro, i cosiddetti sentori minerali stanno assumendo sempre più un carattere identificativo per alcune produzioni, anche se è solo negli ultimi anni, e grazie a tecniche di vinificazione in riduzione, che si è riusciti a sviluppare aromi e profumi riconducibili alla mineralità.
Semplificando e per capire meglio è quell’effetto che si produce aggiungendo il sale su una fetta di limone. Il primo impatto è dato dall’acidità e può essere aggressivo, poi subentra la salinità. Il sale tampona l’acidità portando una dolcezza contenitiva e si traduce in uno stimolo profondo e lungo per le papille gustative.

Degustazione:

1) - Miglio Bianco Falanghina dei Campi Flegrei DOC, 2015.
Colore: bel paglierino carico.
Naso: floreale, gradevole e pulito, con leggera connotazione minerale e vagamente dolce. Alla rotazione, note di tiglio, di fiori gialli, di miele, sentori di banana e pesca matura.
Bocca: interessante e bella l’acidità di questa Falanghina che cresce ai piedi del Vesuvio e che dà un vino ben costruito, rotondo, in bocca corrispondente all’ olfatto. Vino giovane, sapido, lungo e persistente che emana, dopo un po’, anche note più verdi di clorofilla, note di fieno, sentore di banana e frutta bianca.

2) - Contrada Salvarenza, Soave Classico DOC, 2006, Gini
Colore: dorato e bello il colore di questo grande Soave da terreno basaltico-calcareo, maturato in legno.
Naso: importante all’olfatto con sentori di frutta tropicale quali ananas, mango, papaia, albicocca intensa disisdratata, mela.
Sentori di pietra focaia e bella nota minerale garbata miscelata con una nota burrosa: un naso di grande ricchezza per questo vino di dieci anni.
Bocca: burroso, grasso, tropicale, speziato e balsamico, lunghissimo e ricco di connotazioni affumicate. Garganega grandissimo con fondo amarotico, che regala sensazioni secche ma anche burrose. Lunghissimo e di bella acidità.Vino abbinabile con piatti di pesce elaborati, primi piatti con verdure e di bella struttura, carni bianche, salumi locali. Vino oltre i 90 punti.

3) - Barbarano Colli Berici DOC, 2016, Collis
Colore: molto bello il colore di questo Tai rosso di 12° dei Colli Berici.
Naso: emerge subito una interessante e vaga nota affumicata ma anche sentori fruttati, di lamponi, di fragola selvatica; percezione leggermente amarotica data da chiodo di garofano e spezia, un po’ fumè. Molto pulito al naso, con anche note di grafite, di terra e percezioni sulfuree.
Bocca: meno coordinato in bocca, risulta più scomposto, un po’ acido e un po’ tannico; bocca non all’altezza del naso.

4) - San Lorenzo Ciliegiolo, Maremma Toscana IGT, 2013 Sassotondo
Colore: bel colore violaceo di questo Ciliegiolo in purezza della zona di Sorana, allevato in terroir tufaceo.
Vitigno diffuso in Toscana per i sentori fruttati che regala al Chianti in uvaggio col Sangiovese.
Naso: floreale e fruttato con nota sulfurea, tanto fiore e tanto frutto;
alla rotazione del bicchiere regala sensazione bella ciliegia marasca e sentori terrosi.
Bocca: grande vino con nota di ciliegia un po’ dolciastra e con un bel tannino; grande eleganza finale. Vino elegante e tannico.
Il Ciliegiolo è un vitigno che sta per essere rilanciato nell’alto viterbese per essere vinificato in purezza. Vitigno di bella potenzialità.

5) - Carato Venusio, Aglianico del Vulture DOC, 2012, Cantine di Venosa
Colore: nobile e bello il colore di questo Aglianico del Vulture in purezza di 14,5°.
Naso: balsamico con note di timo mentolato, sentori forti e densi, quasi di cioccolato. Alla rotazione, sentori di erbe aromatiche, rosmarino e salvia, ma anche di frutto macerato e di terra. I profumi della zona di montagna in cui è allevato il vitigno.
Bocca: sentore mentolato con tannino, liquirizia netta ed evidente, lieve sentore di sedano: vino lunghissimo e gradevole.
Prodotto tipico, sano e fatto bene, rispettoso della tradizione, piacevole e ben costruito anche se più rude e corposo che elegante.
L’Aglianico uno dei vitigni piu significativi del patrimonio italiano.

6) - Serra della Contessa, Etna Rosso DOC, 2013, Benanti
Colore: lo stesso colore elegante e poco marcato che hanno in comune il Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio c col Pinot Nero.
Naso: particolare sentore di carni macerate piccanti, pepate e speziate, ma anche di terra e mineralità: un naso intrigante, molto denso e ricco.
Bocca: intenso e forte il tannino intenso di questo vino tipico, un po’ rude con acidità marcata, struttura robusta e che, sicuramente, reggerà bene nell’evoluzione.
I vigneti dell’Azienda Benanti sono in posizione bellissime e con uve selezionate e molto curate.
Bell’esempio di vino con acidità marcata, prodotto molto tipico di terreno vulcanico.

7) - Gattinara DOCG Riserva, 2011, Travaglini
Colore bellissimo ed elegante il colore di questo nebbiolo dell’Alto Piemonte.
Naso: fini sensazioni di note floreali, sentori balsamici, bella verticalità e grande eleganza; alla rotazione del bicchiere emergono le note di pino e di eucaliptolo ma anche sentori di frutta marmellatosa rossa e di erbe mentolate e medicali. Gran vino, di grande eleganza
Bocca: buonissimo, con un bel tannino da cacao fine, lungo e gradevolissimo.

8) - Malvasia delle Lipari DOC Passito, 2015, Fenech
Colore: color rame dovuto alla percentuale (5%) di Corinto Nero.
Naso: bell’agrumato, soprattutto di albicocca ma anche, in tono minore di mandarino e arancia in marmellata.
Bocca: dolce e garbato, regala una bella sensazione dell’amaro della buccia degli agrumi con nota dolce e finale lungo, secco e gradevole.
Il vino di Salina che, in origine, era un vino molto secco, è particolarmente sapido e salato per la mineralità delle terre vulcaniche.


lunedì 6 marzo 2017

VINI & VITIGNI: VINI & VITIGNI: I VIGNERON DEL COLLIO RACCONTANO I...

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I VINI DI JOSKO GRAVNER


Presentata dal Delegato dell’Onav genovese Massimo Ponzanelli, Mateja Gravner si presenta al numerosissimo pubblico per parlare dell’Azienda di famiglia e presentare i suoi vini, gli stupefacenti vini del padre Josko, colui che, negli ultimi vent’anni, ha portato innovazione nel mondo vitivinicolo soprattutto ispirandosi al passato. Collabora alla serata Fiorenzo Sartore esperto degustatore Onav.
All’inizio appare un po’ smarrita, di fronte ad una vasta sala piena di pubblico ma poi inizia con passione a descrivere le sue colline, che non superano i 250 metri slm, al confine con la Slovenia, con vigneti di Ribolla e Pignolo, tipicamente friulani, ma anche di uve da vitigni internazionali, vigne che la sua famiglia coltiva nei 15 ettari di terreni marno-calcarei intorno alla grande casa dei suoi antenati, costruita oltre 300 anni fa.
Ma quando afferma -“ Noi non siamo un’Azienda biologica certificata, siamo prima di tutto contadini che rispettano onestamente la natura, perché le cose che si fanno con coscienza non hanno bisogno di certificazioni e di regole” - ecco che il suo tono si fa deciso e quasi orgoglioso e noi, pubblico, cominciamo a capire il significato e la concezione che c’è dietro la produzione Gravner.
Ci racconta che, negli anni ’90 il padre capì che aveva sbagliato ad estendere troppo la coltivazione della vite e provvide a limitarne gli spazi per creare un habitat migliore attraverso l’inserimento di alberi, leguminose, piante di vario tipo, quali olivi, meli, cipressi e di stagni e laghetti proprio perché prese coscienza che l’acqua era necessaria per ricreare un equilibrio naturale in cui potessero vivere gli animali, i pesci e gli uccelli. Questi ultimi tornarono tra gli alberi e per accoglierli furono addirittura costruiti dei nidi artificiali.
“Cerchiamo di essere meno dannosi e il più possibile rispettosi della natura”, afferma Mateja.
Così come sono rispettosi con la vite. La cura del vigneto consiste soprattutto nell’assecondare la natura aspettando che si compia il suo ciclo e limitando l’intervento dell’uomo, le vendemmie sono quasi sempre avanzate, almeno fino al mese di ottobre, perché –“ le uve vanno raccolte al meglio, quando sono veramente mature perché sono la base dei vini buoni in quanto in cantina non si aggiunge né si toglie nulla”-
Ci racconta che, dopo un periodo di vinificazione tradizionale, Josko, dopo un viaggio in California, durante il quale disse di aver imparato cosa non si deve fare nella vinificazione, decise di eliminare tutti i trattamenti chimici, a parte lo zolfo; successivamente scoprì, in seguito a sperimentazioni, che solo con le bucce e senza lieviti il vino manteneva il sapore dell’uva che lo aveva prodotto.
Nel 97 produsse la prima Ribolla senza lieviti che sapeva finalmente di Ribolla.
Fu eliminato l’acciaio, non si controllarono più le temperature, l’uva si teneva a fermentare in grandi tini senza aggiungere niente.
Nel 2001 vi fu il passaggio alle anfore.
Le anfore permettono una macerazione lunghissima senza il controllo della temperatura e, se l’uva è buona, non c’è bisogno di aggiungere sostanze. La prima anfora fu acquistata nel ‘97 anche se Gravner ne aveva sentito parlare, 20 anni prima, da Luigi Veronelli e dal prof. Scienza e si sapeva che l’anfora era stata utilizzata in Georgia per la vinificazione. Ci vollero 5 anni, dal 2000 al 2005, per avere le anfore e infine si creò la cantina dove il pavimento e i muri, all’interno, sono costruiti in modo da rendere l’ambiente omogeneo con l’esterno, per non provocare all’uva uno shock termico al momento della vendemmia. Le anfore sono fatte di argilla cotta, non contengono tracce di materiali pesanti, pericolosi per la salute dell’uomo.
All’esterno, poi, l’anfora viene ricoperta con sabbia e calce per creare un guscio protettivo.
Le uve, ottenute con un forte rispetto del territorio e coltivate senza prodotti chimici, pigiate o pigiadiraspate, sono messe direttamente nelle anfore, dopo aver tolto gli acini marci e i raspi, se necessario, a seconda dell’annata.
Durante la fermentazione, sei sono le follature giornaliere per proteggere col liquido le bucce che emergono, affinchè non siano attaccate dalle muffe.
Non ci sono regole per la durata della fermentazione, tutto dipende dall’annata e, dopo la malolattica, l’intero processo si ferma intorno a marzo / aprile.
Terminata la svinatura, il liquido passa in grandi botti per 15 giorni ed ancora in anfora per sei mesi.
Nel mese di settembre viene messo ad affinare in grandi botti di rovere per 7 anni: si è scelto questo tempo perché le cellule umane si rinnovano ogni 7 anni e la natura ci suggerisce che, in tale periodo di tempo, si compie un ciclo vitale.
Le Riserve prevedono 14 anni di affinamento.

3) Degustazione

1) VENEZIA GIULIA IGT BIANCO "Breg" 2008 (Chardonnay, Sauvignon, Pinot Grigio, Riesling)
L’annata 2008 è stata caratterizzata da piogge abbastanza frequenti ma ha prodotto uva molto bella; le precipitazioni autunnali hanno favorito la botrite.
Vino fermentato sulle bucce; servito a temperatura ambiente come i vini rossi.
15°gradi alcolometrici
Bellissimo colore ambrato brillante che dal punto di vista cromatico si stacca da tutti i vini che solitamente conosciamo. Colore che ricorda certi metalli preziosi, quali, per esempio, l’ambra.
All’olfatto è fresco e subito inonda le narici con sentori vari e cangianti: ginger, frutta secca, zafferano, erbe aromatiche, note del tè, legno di sandalo.
In bocca intenso ed imperioso con struttura, potenza e lunghezza. Percepiamo un bel tannino, una struttura importante, ben armonizzata. Vino estremamente giovane, con acidità fresca e viva. Perfettamente amalgamato ed armonico. Chiude con buona morbidezza.
Il Bianco Breg prende il nome da un vigneto collinare esposto a sud.

2) VENEZIA GIULIA IGT BIANCO "Breg" 2007
14,5°gradi alcolometrici.
Il 2007 è stata una annata molto bella e asciutta che ha dato uve sane e mature.
Il vino si è aperto in ritardo rispetto al primo ma si rivela altrettanto interessante.
Bellissimo colore ambrato brillante, simile al precedente ma forse con maggior brillantezza.
Olfatto: tè aromatico, note erbacee, fieno e erba tagliata, frutta secca, nocciola, mandorla, canditi: vino di grande complessità aromatica. L’olfatto si evolve di minuto in minuto.
Vini che sfidano tempi lunghissimi con grande maturità.
In bocca grande acidità, grande freschezza, tannini lievi, astringenza da bucce, un vino che trascende l’idea di vini bianchi.
Questo vino è più composto e con struttura un po’ superiore rispetto al precedente, con finale pulito e lunghissimo.

3) VENEZIA GIULIA IGT RIBOLLA 2008
Vitigno autoctono di riferimento del Colllio
14,5°
Uva più neutra.
Colore sempre ambrato e luminoso.
Al naso sentore di fiori essiccati, nota di tè, zafferano, nota di pasticceria, naso simile al primo vino della stessa annata. Note speziate di ginger, erbe aromatiche, mandorle e canditi.
In bocca la Ribolla presenta una nota piacevolmente amaricante, a differenza del Breg.
Il tannino è presente in maniera morbida ma l’equilibrio è mantenuto perché si tratta di un vino di corpo e di sostanza.
L’elemento alcolico induce ad una percezione che tende verso la dolcezza.
L’anfora conferisce al vino delle caratteristiche comuni ma non va ad appiattire il gusto.

4) VENEZIA GIULIA IGT RIBOLLA 2007
13,5°
Bellissimo colore ambrato, colore straordinario.
Naso: la vendemmia 2007 parte piano ma vince sulla lunghezza; nota di zenzero, spezie dolci, cannella, anice stellato, ginepro; naso intrigante, dolce ed espressivo.
L’evoluzione nel bicchiere è notevole. Vino molto complesso che si evolve nel bicchiere.
La Ribolla risulta più strutturata del Breg con note più complesse e con finale amaricante.
5) VENEZIA GIULIA IGT ROSSO "Breg" 2004 (Pignolo)
13°alcolometrici.
Uve Pignolo autoctone del Collio
Il Pignolo è un vino estremamente tannico che richiede molto invecchiamento. Sensazioni verdi, note aromatiche, note di carne macerata, pelle di salame.
Estrema gioventù di questo vino sia per tecnica di vinificazione sia per la caratteristica di questo vitigno.
Note olfattive balsamiche, prugna secca disisdratata, spezie come pepe.
Vino che dà sensazioni emozionali; abbinabile con carni e formaggi stagionati.

6) VENEZIA GIULIA IGT ROSSO "Rujno" 2001 (Merlot)
Rujno è vino da occasioni speciali, nelle annate normali prende il nome di Rosso Gravner.
Uve da vigneto del ‘67 che fa capire la capacità tecnica di vinificazione perché questo, a differenza dei bianchi, di può confrontare con altri Merlot.
Olfatto: straordinario e ricco che dimostra ancora gioventù anche se prevalgono le sensazioni terziarie. Vino di bella maturità, con note di tostatura, caffè e cacao.
Maestoso e denso, ricco di note importanti tipo le note ematiche e speziate. In bocca prevalgono elementi di eleganza e finezza; vino di straordinaria eleganza e pulizia.

lunedì 27 febbraio 2017

VINI & VITIGNI: I VIGNERON DEL COLLIO RACCONTANO I LORO VINI

VINI & VITIGNI: I VIGNERON DEL COLLIO RACCONTANO I LORO VINI: Tutti insieme, in una serata di grande allegria, cinque grandi protagonisti del Collio, presentati ed introdotti da Claudia Culot, delegata ...

I VIGNERON DEL COLLIO RACCONTANO I LORO VINI

Tutti insieme, in una serata di grande allegria, cinque grandi protagonisti del Collio, presentati ed introdotti da Claudia Culot, delegata Onav del Friuli Venezia Giulia e di Gorizia, hanno raccontato il loro territorio e portato in degustazione i loro vini.
All’Onav di Milano erano presenti: Igor Erzetic di Branko, Dario Raccaro, Romeo Rossi di Ronchi Rò, Roberto Picech e Edi Keber ma la serata è stata allietata anche dalla presenza di Bruno Pizzul friulano doc e da sempre grande amante del vino -“ mi sono spesso sentito chiedere, in giro per il mondo, - ma come fate, voi friulani a bere più vino di quello che producete e a riuscire anche a venderlo?”-
Il Collio è il territorio in cui si può dire sia nata la vinificazione in bianco a causa della importante produzione di vini di grande personalità, intensi ed eleganti ma soprattutto capaci di un buon invecchiamento. La storia dei vigneti ha origini in epoca romana e si sviluppa nel medio evo quando i vini del Collio, allora dolci perché prodotti da uve appassite, erano citati come merci preziose e doni da offrire ai personaggi di riguardo.
La ricostruzione dopo il periodo bellico porta il territorio, consapevole della sua ricchezza vitivinicola, ad organizzarsi con la nascita del Consorzio nel 1964 e la nascita della Doc nel 1968.
Oggi parliamo di 1500 ettari coltivati con 17 vitigni in allevamento e circa 320 aziende.
Da citare anche la produzione di vini naturali tipici del territorio che sono in crescente sviluppo e si rifanno alla tradizione del Caucaso.
I vitigni autoctoni sono Ribolla Gialla, Friulano, Malvasia, Picolit, gli altri sono vitigni internazionali ma, come tutti concordano, in questo territorio i vitigni trovano un habitat felice e tutte le varietà di uva crescono e producono ottimamente.
Merito di tanti fattori: la collocazione geografica e le condizione climatiche rendono i terreni di questa regione perfetti per la coltivazione della vite; l’area è compresa tra due fiumi, l’Isonzo e lo Judrio che danno un ottimo supporto climatico ed è adagiata su colline basse e dolci che non raggiungono i trecento metri di altitudine e che sono utilissime per il drenaggio delle acque piovane. Il mare Adriatico, nelle vicinanze, regala brezze rinfrescanti nelle estati calde e assolate e le montagne alle spalle del Collio lo proteggono dai venti freddi del nord. La maturazione della vite raggiunge qui sempre la sua completezza e, proprio in queste zone in prossimità del mare, la nutrizione idrica della vite, dovuta a piogge solitamente ben distribuite nel corso dell’anno, produce acini dolci e sapidi soprattutto per la notevole escursione termica delle colline.
Altro fattore importante è il terroir : la Ponka, materiale friabile composto di marna e di arenaria ricca di minerali e microelementi che regalano ai vini bianchi quella particolare mineralità che li rende speciali.
Durante la serata, ogni produttore presenta un vino e spiega le motivazioni di questa scelta: si tratta comunque di piccole Aziende di una decina di ettari ciascuna:

Pinot Grigio Collio 2015 Azienda Branko di Igor Erzetic
Branko è il nome del padre fondatore dell’ azienda.
Il Pinot Grigio, ci racconta il produttore, è oggi un vino di moda, molto richiesto, e il vitigno trova nel Friuli una delle sue migliori dimore che lo rendono unico, sostanzioso, sapido. Al naso il vino profuma di erba secca, fieno, lieve sentore di mandorla. In bocca si manifesta ricco e armonico anche se vino giovane, con grande mineralità e sapidità.
L’annata 2015 è stata interessante, qui i vini si degustano giovani ma, data la loro sostanza, possono essere longevi anche per una decina d’anni.

Il secondo vino è la Malvasia Istriana del Collio 2013 Raccaro, prodotto dall’Azienda fin dal lontano 1928 in quanto è sempre stato vino del territorio anche se molti produttori ne hanno espiantato le viti: Malvasia Istriana non da dessert ma secca, con un fondo aromatico, abbinabile a piatti a base di pesce. L’annata in degustazione è ottima, molto significativa: al naso il vino è lievemente aromatico, con sentori di albicocca, pepe, spezie, frutti tropicali maturi, sentori agrumati. In bocca sapido, persistente, una chicca del territorio. Vitigno autoctono di basse rese, non verrà abbandonato. Con questo vino si torna alle tradizioni e, come dice il produttore, “ c’è da esserne orgogliosi”.
Numero di bottiglie in genere 40/50 mila.

Il terzo vino è un Sauvignon Collio 2012 di Ronchi Rò
Vino di grande finezza, Romeo Rossi ci parla del territorio di Dolegna del Collio, un po’ diverso per la presenza di un microclima più adatto ai vitigni aromatici, con temperature più fredde e maggiori escursioni termiche.
Grande annata il 2012, calda e assolata.
Grande complessità di profumi e grandiosa ricchezza olfattiva: frutti molto maturi, agrumi, pompelmo ma anche molta freschezza e persistenza in bocca.

Gli ultimi due vini hanno del tempo sulle spalle:
Tocai Collio 2008 – Picech. Vitigno autoctono per eccellenza, oggi definito Friulano, è molto conosciuto nel mondo; questo è prodotto dalla cantina Picech di cent’anni di attività, a Pralis, una zona fortunata di colline dolci e vigneti estesi fino ai 160 metri, esposti molto bene dove crescono perfettamente le coltivazioni di malvasia, ribolla e friulano, appunto.
Il 2008 è bella annata, è stato diraspato, alcune ore sulle bucce, supera i 14 gradi.
Una buona annata e una bella nota di mandorla finale.

Quinto ed ultimo vino è un Collio 2007 – Keber
Composto secondo la ricetta di un tempo con Friulano al 70%, Malvasia Istriana al 15% e Ribolla Gialla al 15%
Il produttore Edi Keber ci dice che la sua azienda è fra le poche produttrici di tale uvaggio ed è da anni impegnata nel recupero di una tradizione che da sempre caratterizza la miglior vitivinicoltura del Collio.
Colore paglierino con riflessi verdognoli e profumo intenso, asciutto, con retrogusto lievemente amarognolo, strutturato e ricco di personalità.
Al naso offre sentori leggeri di melone giallo, pera, agrumi, fiori bianchi e mandorla.
Di splendido equilibrio, si propone morbido al palato e intensamente minerale, lunghissimo.

Edi Keber fa un riepilogo e parla dei prodotti del territorio, di quando, nel dopoguerra i loro genitori usarono impiantare Pinot grigio e Sauvignon per ripartire, dopo i disastri bellici e sullo stesso terreno distrutto.
Ma ora, secondo lui, bisognerebbe imparare dalla Francia e riprendere, tutti insieme, la produzione di un vino di territorio originale e tipico della zona, creato con le loro uve autoctone, proprio per distinguersi dagli altri : - dovremmo essere tutti su quella strada. Si deve fare un vino con una idea importante, quella di salvaguardare la tradizione, senza pensare solo al mercato; Il nostro terroir permette di fare tutto ma il Collio è Tocai, Ribolla e Malvasia. Prima a farlo eravamo in quattro ora siamo in ottanta.


giovedì 16 febbraio 2017

VINI & VITIGNI: L'IMPORTANZA DEL TERROIR NELLA VERTICALE DI BAROLO...

VINI & VITIGNI: L'IMPORTANZA DEL TERROIR NELLA VERTICALE DI BAROLO...: Una serata dedicata ai grandi crù del Barolo: una degustazione orizzontale dell’annata 2012, ottima per clima e temperature, analizzata attr...

L'IMPORTANZA DEL TERROIR NELLA VERTICALE DI BAROLO ANNATA 2012

Una serata dedicata ai grandi crù del Barolo: una degustazione orizzontale dell’annata 2012, ottima per clima e temperature, analizzata attraverso i vini dei alcuni dei più grandi produttori della zona.
La serata, guidata da Vito Intini, inizia con la storia del Nebbiolo che nasce nel cuore delle colline di Langa e produce uno dei vini più importanti del patrimonio enologico italiano in undici comuni tra cui quello di Barolo che ha dato il nome al vino oggi celebre in tutto il mondo.
Il vitigno Nebbiolo, storico e indigeno già dai tempi dei Romani, in quanto non si hanno tracce in altre aree se non in Valtellina, trasportato dai Liguri, e in alto Piemonte, è in effetti uva di allevamento impegnativo che ha bisogno di molta cura, buona e tarda maturazione e di un certo tipo di terroir, esposizione eccellente, drenaggio e pendenza e una altitudine che può variare dai 150 ai 400 m.slm. Tre sono i suoi cloni: Lampia, Michet e Rosè e la sua resa è di 80 quintali per ettaro. Benchè molto importante, il Nebbiolo costituisce, tuttavia, meno del 5% della produzione enologica del Piemonte, è uva rara, povera di pigmenti e produce vini di poco colore, elegantemente aranciati perché ricco di peonina, la maggiore delle sue componenti antocianiche.
Fu la marchesa Giulia Colbert Falletto che, insieme al Conte di Cavour, contribuì a creare con questa uva il mito del Barolo che non esisteva in precedenza, con l’aiuto dell’enologo francese Oudard che consigliò di ricostruire completamente la tecnica di allevamento e di modificare quella di vinificazione. Fu così che, a fine Ottocento, fu creato uno dei più grandi vini italiani di cui, nel 2015, si sono prodotte 12 milioni e mezzo di bottiglie.
Meritevole di attenzione l’analisi dei terreni:
la regione del Barolo è un’area non omogenea di origine marina con tre formazioni geologiche del Miocene molto diverse tra loro:
a sud est prevalgono le marne giallastre con elementi ferrosi (Serralunga e Monforte);
nelle aree ad ovest prevalgono marne più vecchie e compatte che danno vini sostanziosi di grande corpo( La Morra, Barolo);
nelle parti intermedie c’è presenza di materiale sabbioso, soprattutto nella zona a nord est (Grinzane)
Dalla composizione geologica più o meno recente deriva la composizione metallifera diversa e quindi la resa diversa del processo di vinificazione.
Leggere e interpretare il Barolo è quindi un processo complesso perché la zona comprende ben 177 crù, delineati dal mappale della zona, con diverse componenti metallifere e geologiche e diverse tipologie di terroir, di allevamento e di vinificazione.
Il 2012 è stato preso come anno di analisi perchè annata positiva con temperature base a gennaio, fioritura giusta a maggio, agosto non troppo caldo e giusta quantità di piogge; poi, bel tempo alla vendemmia verso il 10/15 ottobre.
La serata si manifesta molto significativa per l’ottima scelta dei vini da parte di Enzo Brambilla, vero esperto del Barolo, che conosce tutti gli angoli delle Langhe e tutte le famiglie che, da generazioni, si dedicano alla produzione del vino.
Il taglio degustativo della serata consiste nell’assaggiare molti vini di crù di aree geologicamente differenti, di diverso allevamento e vinificazione ma della stessa annata, per cercare di analizzare le somiglianze e le diversità dei vari prodotti del territorio.
Annata interessante il 2012, anche se il vino è relativamente giovane.
In degustazione dieci grandi Barolo 2012:

1) Le Strette Cru "Corini Pallaretta" Novello
Siamo in zona sud ovest area in area geologicamente giovane con terreni non particolarmente ricchi.
Bottiglie prodotte 1500, piccolo crù.
Colore aranciato da Nebbiolo limpido ed elegante.
Il naso è pulito, franco e floreale con connotazione balsamica, note mentolate e un bel frutto. Alla rotazione il vino si mostra sottile, elegante e balsamico con note di liquirizia e chiodo di garofano, pino e sentore mentolato.
In bocca tanta e intensa liquirizia, tannini fitti e sottili, piacevoli, terra, humus, talco, frutto rosso. Vino di struttura importante che si percepisce soprattutto in bocca.
Bella struttura, acido e tannico. 85

2) Montaribaldi Cru "Borzoni" Grinzane
Siamo a 230 metri, a Grinzane Cavour a nord con marne compattate con conglomerati di sabbia infiltrata. Barrique per due anni e poi in botte grande. Stiamo parlando del nord est, terreno medio sottile con presenza di marne.
Il naso è fruttato con frutta rossa e note terrose, pepe; alla rotazione esce una marasca intensa e matura molto gradevole, moto diverso dal vino precedente, con frutto pieno rotondo e maturo, ciliegioso con spezie e noce moscata.
In bocca potentissimo ma un pò disarmonico per tannicità marcata. Il naso sembra maturo e in bocca ancora non è pronto. 82/83
3) Bartolo Mascarello Barolo
Cantina storica che rappresenta un po’ la cultura dell’antico Barolo tradizionale. Uve Cannubi, San Lorenzo e di altre aree straordinarie. Uve di crù diversi. Mascarello è uomo che ha fatto la storia del Barolo.
Al naso elegante e pulito e, se mosso, dichiara marasca, ciliegia matura e prugna, terra, talco, percezioni di spezie, grafite, liquirizia e nota mentolata.
In bocca fresco elegante con bella verticalità in bocca, leggera nota di anice e di menta, unita a note di grafite; tannino morbido. Finale terroso con liquirizia. Non ancora pronto. 86/87

4) Giovanni Rocca Cru’ " Bricco Ravera" Monforte d'Alba
Terreno sabbioso marnoso di Monforte, zona sud, con marne solide e compattate.
Prodotte 9.000 bottiglie, in barrique e in legno grande.
Al naso emerge l’energia più che l’eleganza, con tanto frutto ma meno verticalità. Frutto ricco e polposo, intenso; frutti rossi, ciliegie, fiori appassiti, pepe bianco e qualche spezia. Verticali note eteree mescolate a frutto grasso ricco e potente.
In bocca vino ricco, maschio e potente con tannini tattili, unbel vino ben strutturato. Vino giovane ma grande vino.

5) Guido Porro Cru "Gianetto" Serralunga d'Alba
Zona con vini strutturati in zona ricca ad est; vigneto argillo- calcareo con sabbia, viti giovani, fermentazione in vasche di cemento, 6.500 bottiglie prodotte. Guido Porro è uno dei giovane emergenti del Barolo, attua una vinificazione tradizionale, si tratta di una piccola azienda familiare. Al naso marasca, note olfattive di frutto, note forti di selvaggina, pepe, chiodi di garofano, nota dolce; buona energia olfattiva.
In bocca buona corrispondenza con l’olfatto, bella struttura, morbido e rotondo, liquirizia e tannino con note incenso e di balsamo, note di alloro, legno aromatico. Vino notevole. 90

6) Cadia di Bruno Giachino Cru " Monvigliero" Verduno

Parte alta, zona più sottile con argilla e zone sabbiose.
Terreno calcareo con sabbia. Barrique.
Al naso terroso, orizzontale con frutta, molta terra e liquirizia, non grande eleganza. Esposizione ottima del terreno.
In bocca vino più banale dei precedenti, non con difetti ma meno originale.
7) Silvano Bolmida Cru’ "Bussia" Monforte d'Alba
Zona intorno a Barolo in uno dei crù più vocati in assoluto, nel cuore del territorio: la parte della Bussia che si chiama Manescoto . Unico vinificatore di questo posto. Cura maniacale in cantina e in vigna: 24 mesi barrique, 12 mesi di botte grande. Al naso impatto di bella balsamicità con salvia e timo, erbe aromatiche secche, piacevole, un bel frutto. Alla rotazione ciliegia e spezia: molta l’eleganza, la potenza e la morbidezza.
In bocca grande vino morbido e con corrispondenza naso/ bocca con nota piccante e piacevole, note evolute. Lunga e potente la persistenza, elegante e morbido. 86/87

8) Cascina Ballarin Cru’ "Bricco Rocca" La Morra

Zona centrale con grande vista sulle colline del Barolo.
Terreni a composizione media, botte media. Al naso elegante con sentori di viola passita, frutto macerato, odore speziate e chiodi di garofano, vino tipico del territorio ben costruito. In bocca sintesi del Barolo, beverino positivo equilibrato ed elegante. Bella liquirizia, bel vino, pronto e bevibile. 87

9) Giacomo Fenocchio Cru’ "Villero" Castiglione Falletto
Siamo a Castiglione, un crù nella parte sud est, terreno elveziano con marne di nota rossa. Argilla ricca di ferro.
Al naso gradevole con frutto rossa e note piccanti spezie, chiodi di garofano, non intenso ma ben costruito.
Alla rotazione nota di ciliegia tesa alla macerazione, nota costante.
In bocca è molto elegante e buono, grande tattilità, glicerico e persistente. Naso un po’ sopito ma in bocca si rivela vino di bella costruzione, con equilibrio e struttura. Vino armonico e ben costruito. 90

10) Fratelli Negretti Cru’ "Bricco Ambrogio" Roddi
Zona meno significativa, suolo calcareo, vino barrique e botte grande. Naso sottile non particolarmente originale, più semplice, sentori di spezie. In bocca meglio che al naso ben strutturato con tannino gradevole, tattile e polposo. Consistente ma ancora giovane.