domenica 28 settembre 2014

ELIODORO, UN ECCELLENTE MOSCATO PASSITO

Sulle colline di Strevi, località dell’Alto Monferrato, che, da sempre, lega il suo nome alla produzione vinicola del Moscato, la Valle Bagnario si estende a forma di ipsilon, su bellissime colline soleggiate, dal terroir a prevalenza tufaceo-marnoso, caratterizzate da buon drenaggio e con un microclima particolarmente favorevole tanto da produrre uve che riescono a raggiungere elevate concentrazioni zuccherine e produrre vini passiti morbidi, con ottimo equilibrio e persistenza, veri e propri vini da meditazione.
Il Moscato Passito della Valle Bagnario è diventato presidio SlowFood nel 2002 e ha ottenuto il riconoscimento come Strevi Doc nel 2005.
Come si produce questo incredibile vino di colore ambrato intenso che al naso regala sentori incredibili di fiori, frutta, mandorle, frutta secca, datteri, miele di castagno e altro ancora, questo vino racchiuso in piccole bottiglie che nulla ha da invidiare ai più famosi Passiti conosciuti?
Per scoprirlo vado da Giampaolo Ivaldi, produttore dell’Azienda Agricola Bagnario e Presidente dell’Associazione Produttori del Moscato Passito.
La sua casa - azienda è sorta alla metà del Cinquecento e ha conservato di quel tempo l’architettura costruita da antenati che pare provenissero dalla Germania e che, attratti dal clima della valle, ne diboscarono i terreni e iniziarono a impiantare vigneti.
Ma l’attività vinicola di cui esiste documentazione risale all’Ottocento così come la “tomba di famiglia”- antica e affascinante cantina dove riposano bottiglie dell’epoca.
La testimonianza delle bottiglie indica che i primi vini a essere vinificati come passiti furono i Brachetti che, infatti, risalgono ai primi dell’Ottocento; gli avi di Giampaolo segnavano con la biacca tipologia e millesimi.
Le bottiglie di passito più antiche della cantina sono datate 1864 anno di nascita del bisnonno Luigi che era già diventato il terzo produttore di Moscato di Strevi e ora nell’Azienda, condotta con la moglie Gabriella, si coltivano 6 ettari con vigne di Moscato e Brachetto, vitigni aromatici ed autoctoni della zona ma anche di Dolcetto, Barbera e Albarossa.
La produzione principale è costituita dal Moscato con una resa di 107 q/ha e dal Brachetto che, per Disciplinare, ha resa inferiore, vinificati in maniera tradizionale ma l’eccellenza consiste nella vinificazione delle stesse uve come Passiti attraverso i passaggi di un’antica lavorazione che è stata tramandata da padre in figlio.
Come crea i suoi passiti Giampaolo, come riesce a produrre vini che lo stanno facendo conoscere come uno dei produttori più attenti e più interessanti di un prodotto di nicchia, vini che possono ben competere con i più blasonati passiti italiani?
Ce lo racconta con dovizia di particolari ma, soprattutto con l’atteggiamento dell’artista che parla delle sue opere; si capisce che non ci sono regole, solo una tradizione da seguire e tanta passione che traspare dal suo sguardo quando afferma che ogni annata racconta la sua storia perché “ il vino si fa da solo”.
Per ottenere questo passito da meditazione - racconta - si sceglie il meglio della vendemmia, i grappoli più sani e spargoli e si raccolgono per primi. Si raccolgono dai 7 ai 10 quintali in 4 giorni di uva che viene poi stesa su lettiere di legno che mi mostra e che restano esposte al sole sulla terrazza sopra la casa e coperte da teloni…sembrano serre. I grappoli appassiscono al sole diretto ma vengono riparati la notte e lasciati così dai 20 ai 30 giorni.
L’uva non si rovina perché se i grappoli sono integri alla raccolta – mi dice -già dopo una settimana di esposizione la buccia diventa dura e protegge il contenuto degli acini. Il grado zuccherino è alto ma deve essere superiore ai 30 g/l per evitare rischi di rifermentazioni successive.
Dopo 20/30 giorni l’uva, pigiata e pressata, viene messa in legno in piccole botti antiche di dimensione più grande della barrique francese, mentre le bucce rimaste vengono passate due volte ai setacci a maglie progressivamente più fitte per eliminare raspi e vinaccioli ed, infine, aggiunte al mosto a macerare fino a otto mesi.
Questa è l’antica ricetta di due secoli fa ma ogni annata è diversa e semplicemente da un sorso di vino si riesce a capirne l’andamento climatico.
Dice Ivaldi :” Mi piace emozionare il palato del consumatore come lo emozionava mio bisnonno…”
Ha dato al suo vino il nome sole dorato ed è davvero un vino raro, longevo che deve maturare dai 4 ai 7 anni; ora beviamo quello del 2006.
In questa zona dove non si producevano vini importanti come il Barolo ma che era arricchita da due vitigni autoctoni e aromatici importanti come il Moscato e il Brachetto si inventarono i Passiti come vini potenti e longevi, vini da offrire all’ospite, vini della festa e il primo ad essere vinificato dopo l’appassimento fu proprio il Brachetto poi seguito dal Moscato, vitigno più robusto e resistente alle malattie.
Strevi ha una storia vitivinicola antica, dalle radici profonde che arrivano sino all’epoca romana e il fiore all’occhiello della sua produzione sono diventati presto il Moscato e il Moscato Passito.
Proveniente dall’Asia Minore questo vitigno fu diffuso in tutto il bacino del mediterraneo dai marinai greci e fenici.
Grazie alle sue caratteristiche prime fra tutte il tipico profumo e il sapore dovuto all’abbondante presenza di terpeni nelle bucce degli acini, ha sempre avuto un enorme successo.
Dalle antiche descrizioni non è difficile identificare i moscati con le famose “uve apiane” citate da Livio e Virgilio come uve che attiravano le api per la loro dolcezza.
Il nome “ moscato” deriva probabilmente dal profumo di muschio, una essenza odorosa molto preziosa nel mondo antico e utilizzata come base per profumi e merce di scambio fin dall’antichità.
In Italia questo vitigno si fece conoscere fin dal Medioevo.
Utilizzato come uva da tavola e da vino ha buona vigoria predilige i terreni marnoso calcarei non troppo umidi profondi con clima asciutto e ventilato dove assicura una produzione buona e regolare.
A Strevi la tradizione di vinificare le uve moscato dopo un periodo di appassimento nelle cascine si è rinnovata di generazione in generazione tra gli abitanti della Valle Bagnario cuore produttivo dello “Strevi” già nel 1078 come testimoniano documenti dell’Archivio di stato locale.
Il passito è prodotto con metodo di fermentazione in piccole botti e affinamento in legno e poi in bottiglia.
Il colore ambrato è dovuto ad appassimento spinto e a una buona quantità di bucce immesse all’atto della fermentazione per aumentarne la carica aromatica.
Azienda Agricola Bagnario di Giampaolo Ivaldi
Valle Bagnario 47
15019 Strevi (Al)
Vini
Eliodoro Doc Strevi Moscato passito
Salera Docg Moscato d’Asti
L’Idea Docg Brachetto d’Acqui
Aulente Doc Brachetto d’Acqui passito
Doc Piemonte Barbera
Doc Dolcetto d’Acqui










lunedì 22 settembre 2014

ROCCO DI CARPENETO : UNA IMMERSIONE NELLA NATURA

L’Azienda vinicola Rocco di Carpeneto è situata su uno splendido pianalto adagiato sulle colline della località dell’Alto Monferrato, in provincia di Alessandria, che gli storici fanno risalire al Castrum Carpani, una antica postazione strategico militare sorta in tempo romano cone “statio” o luogo di fermata fra i due rami della via Emilia che da Derthona (l’attuale Tortona) e da Aquae Statiellae (l’attuale Acqui Terme) portavano a Genova.
Zona di rilievi collinari compresi tra i 200 e i 400 metri, con terreni in prevalenza calcareo-argillosi e calcareo-marnosi, Carpeneto gode di un clima temperato con inverni freddi ed estati calde e di buona ventilazione complessiva, fattori che la resero, fin da tempi antichi, particolarmente vocata all’impianto di vigneti.
Qui troviamo Lidia Carbonetti e Paolo Baretta che conducono la loro azienda di 5 ettari, suddividendosi praticamente i compiti: lei in cantina, lui in vigna.
La loro scelta di vita e di lavoro è recente: lei, romana di nascita e lui veneto, si sono innamorati di questa terra adagiata sulle ondulate colline del Monferrato e già con vecchie vigne impiantate e hanno deciso di impostare la loro attività coltivando uva e producendo vino oltre che gestendo un agriturismo che già dal nome si rivela irresistibile per l’ospite: “La bella vite”.
Siamo nella zona privilegiata del Dolcetto, vitigno originario del Piemonte dove è diffusissimo e dove cresce con esuberanza nella cosiddetta “cintura del Dolcetto” che si estende fino alla terra di confine della viticoltura piemontese verso l’Appennino ligure e che ha ottenuto il riconoscimento Ovada DOCG nel 2009.
Vitigno autoctono della zona cui si riferisce Giorgio Gallesio nella sua “Pomona italiana”, trattato cardine di botanica della metà dell’Ottocento, quando scrive che “i più stimati Dolcetti sono quelli d’Ovada e dei suoi contorni dove il clima di quelle colline pare che sia il più appropriato alla natura di quest’uva…”
Ma qui si coltivano anche un Barbera Docg e un Cortese Doc, oltre ad altri vitigni come Nebbiolo ed Albarossa, tipici dei luoghi.
La scelta dei vitigni autoctoni del territorio si mostra in linea con la coerenza e il rispetto della natura che troviamo come leitmotiv di questa giovane azienda convertitasi al biologico nel 2009 e dove tutto il processo di coltivazione e vinificazione avviene con estremo rigore in quanto le piante vengono trattate esclusivamente con rame, zolfo e piretro, quest’ultimo usato nella lotta contro la flavescenza dorata e i concimi consistono solo nel sovescio di varie leguminose. In cantina vengono poi utilizzati lieviti indigeni, i vini non subiscono filtrazioni e l'utilizzo della solforosa è nettamente inferiore ai limiti previsti dal disciplinare.
Si tratta, da parte di Lidia e Paolo, di una scelta di vita e di lavoro che si svolge nel massimo rispetto per l’ambiente e infatti l’Azienda Rocco di Carpeneto, oltre a far parte del Consorzio di tutela dell’Ovada Docg, è anche entrata a far parte di Vinnatur, associazione che riunisce i produttori di vini naturali, oltre che della Federazione italiana Vignaioli indipendenti.
Impostazione nuova di un’Azienda giovane dove il vino si fa con il sole, la terra e la passione e nel rispetto della natura.
E dei loro vini, dai nomi derivanti da termini dell’antico dialetto monferrino, e delle loro vigne denominate una per una, Lidia e Paolo parlano con estrema passione.
Per ora si producono tre Dolcetti:
Il DOCG DOLCETTO STEIRA che significa Stella in dialetto carpenetese, prodotto con uve raccolte dalla Vigna Rocco, un autentico Crù, con piante che si avvicinano al mezzo secolo e dove le rese sono di 50 q/ha; per questo vino la fermentazione avviene in acciaio, le macerazioni sono prolungate a due/ tre settimane e la maturazione avviene in legni non di primo passaggio per 15 mesi.
IL DOCG DOLCETTO LOSNA il cui nome significa Lampo di Fulmine, proveniente dalle Vigne Vicario e Gaggero, vigne con 25 anni di età e con rese tra i 50 e i 60 q./ha. La fermentazione avviene in vasche di acciaio con lieviti indigeni, macerazioni prolungate e maturazione in legno non di primo passaggio per almeno 12 mesi.
IL DOC DOLCETTO AUR-OURA che significa “Adesso, adesso”, un Monferrato Dolcetto Doc prodotto con uve da vigne Gaggero e Vicario di età compresa tra i 12 e i 42 anni, con resa di 60 Q./ha. Fermentato in vasche di acciaio, con impiego di soli lieviti selvaggi, subisce prolungate macerazioni e matura, per almeno sei mesi, in legno.
A novembre, ci sarà anche il IL DOCG DOLCETTO ERCHE, nome che significa “Arcobaleno”e che sarà un Dolcetto Riserva con 24 mesi di affinamento in legno di rovere.
Il dolcetto è un vitigno forte e produttivo, resistente alle malattie, di buona resa e di qualità costante. Le sue bucce sono ricchissime di pigmenti e il vino ha colori molto scuri, rubino-violacei, come se fosse stato prodotto dopo una lunga macerazione. I vini sono asciutti e secchi, di un bel colore rubino, vivaci e morbidi se bevuti giovani ma adatti all’invecchiamento, specialmente se conservati in legno. Accompagnano moltissimi piatti della cucina locale e in generale sono adatti alle carni, ai salumi, ai formaggi e alla cacciagione. Vanno serviti tra i 16 e i 20°.
Ma non mancano anche Barbera e Cortese :
LA DOCG BARBERA SUPERIORE RISERVA denominata RAP cioè col nome del grappolo dell’uva e che riposa in legno per 24 mesi.
IL DOC CORTESE ROO che è creato da uve coltivate per una piccola estensione e il cui nome deriva dal dialettale monferrino antico nome dell’ alone che circonda la luna. Le uve Cortese che sono presenti in questa zona da molti secoli e che prediligono i terreni calacreo – argillosi, vengono raccolte qui a vendemmia un po’ ritardata ed è vino non filtrato che conquista per l’originalità sia del colore che dei sentori al naso, complessi, intensi, rari, di frutta ma anche di vegetazione e di balsami. In bocca è giovane ma puro e pulito, ancora mostoso ma particolarmente intenso e originale, fresco ma denso e ricco di sostanza. Un vino che promette un ottimo futuro.
Che aggiungere sulle pratiche di cantina?
Lidia ha organizzato un piccolo laboratorio scientifico per monitorare costantemente l’evoluzione dei suoi vini e la cantina si mostra linda e luccicante con i suoi recipienti in acciaio; qui avviene la vinificazione che è basata soprattutto sulla massima qualità delle uve utilizzate e sulla minimizzazione degli interventi tecnici; si usa lievito naturale, si particano macerazioni prolungate per assorbire meglio i sapori dell’uva e si utilizzano pressature soffici :” Il vino si fa da sé..” dice Lidia Carbonetti con estrema naturalezza.
L’ultima tappa, poi, nella creazione di questi vini è l’affinamento in legni grandi e piccoli ma mai di primo passaggio e sempre di rovere ad eccezione dell’acacia usata per la maturazione del Cortese.
Si ha veramente l’impressione di estrema naturalezza e di fondamentale rispetto per la natura e l’ambiente in questo posto pieno di luce dove le vigne vengono trattate con amore.







giovedì 18 settembre 2014

Il Vermentino, vitigno che ama il mare


“Il Vermentino è il vitigno prediletto….….La sua fecondità, la precocità e la dolcezza della sua uva e le qualità del vino che produce formano un insieme di pregi difficili a trovarsi riuniti in un altro vitigno ”
(da G. Gallesio)
Negli ultimi anni il Vermentino, vitigno autoctono italiano, ha visto una crescente diffusione in Italia dove è coltivato nelle zone costiere in quanto è, per natura, un vitigno che “ sente il mare”.
Lo ritroviamo, infatti, nei vigneti litoranei della Liguria e della Toscana, nelle isole Sardegna e Corsica e nel Midi francese. Fa eccezione la zona del Roero, in Piemonte, dove assume il nome di Favorita in luoghi che si differenziano nettamente per clima e terroir.
Il Vermentino ha di recente attirato anche l’interesse dei viticoltori di altre regioni italiane ed è infatti risultato idoneo, dopo accertamenti ampelografici, a ben 10 regioni: Liguria, Piemonte, Toscana, Marche, Umbria, Lazio, Abruzzo, Puglia, Sicilia e Sardegna.
La sua coltivazione è destinata a crescere.
Questo vitigno autoctono, di grande personalità olfattiva e gustativa, compare in ben 55 Doc italiane, oltre che nella DOCG Vermentino di Gallura e quindi si qualifica come un vitigno di grande rilievo attuale ma anche con rilevanti prospettive per il progresso e l’ampliamento del suo terreno coltivabile in Italia.
STORIA

Secondo il prof. Mario Fregoni, titolare della Cattedra di Viticoltura dell’Università Cattolica di Piacenza, le dimensioni consistenti del grappolo e dell'acino porterebbero a pensare che il Vermentino sia originario del Medio Oriente e che, partito dall'Anatolia, avrebbe raggiunto le coste turche e da qui, successivamente, si sarebbe diffuso nelle coste del Mar Egeo.
I Greci poi lo avrebbero portato a Marsiglia da dove, per opera dei Liguri, grandi navigatori, avrebbe raggiunto il sud della Francia e la costa ligure spingendosi poi nell’entroterra piemontese e nella zona tirrenica, in Corsica e in Sardegna.
Altra ipotesi che si contrappone a questa e' quella di ampelografi come Puillat e Carlone, secondo i quali il Vermentino sarebbe originario della Spagna da dove nel XIV secolo sarebbe giunto in Corsica e da qui, tra il XV e il XVIII secolo, avrebbe raggiunto Liguria Toscana e Sardegna.
Ma contro questa ipotesi sussiste il fatto che in Spagna il Vermentino non esiste.
Lungo i suoi spostamenti il Vermentino ha assunto nomi diversi tipo Pigato in Liguria e Favorita in Piemonte ma si tratta sempre di varietà di una unica famiglia.
Comunque, quello che importa, è il fatto che sia indiscutibile il suo legame con il bacino del Mediterraneo.
Citato da Plinio come vino di Luni che si pensava si estendesse anche alle Cinque Terre, definito come vino ligure da Andrea Bacci nel 1596, Gallesio nella “Pomona italiana” lo definì “vitigno prediletto del Genovesato”, quello che godeva reputazione più estesa tra le varietà che si coltivano da Ventimiglia a Sarzana.
Giorgio Gallesio, conte e agronomo, pubblicò la sua opera a Pisa nel 1834.
Egli ipotizzava, inoltre, che la famosa Vernaccia di Corniglia di cui parla il Boccaccio in una novella, fosse proprio prodotta con uve Vermentino e che nel paese di Corniglia fosse conosciuta col nome di “Picabon”.
Abbiamo poi la testimonianza di Pinuccia Simbula che afferma che, già in epoca medievale, il Vermentino era una delle qualità più diffuse in Sardegna.
Altra notizia interessante anche se un po’ leggendaria sulla diffusione del vitigno riguarda la sua presenza in Ungheria, portato dalla principessa di Napoli che conduceva appunto in dote 300 tipi di vite italiana quando andò in sposa al principe ungherese Battha’nti A’da’m nel 1643.
Qui la varietà più diffusa ancor oggi è il Furmint che compare nella regione del Tokay. Nel 2004 presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, in seguito all’analisi del DNA dei due vitigni, Vermentino e Furmint, è stata riscontrata una parentela di primo grado tra essi che, peraltro, presentano anche somiglianze nella forma delle foglie e dei grappoli.
Quindi l’origine spagnola del Vermentino non risulta probabile mentre è molto più logica la tesi sulla provenienza medio-oriantale del vitigno ipotizzata dal professore Mario Fregoni.
La diffusione nel Mediterraneo fu poi opera dei Greci e dei Liguri.
Il Vermentino, ampelograficamente varietà idonea in tutte le province della Sardegna, della Liguria e della Toscana, si adatta a zone costiere calde e un pò aride e quindi anche a sud potrebbe trovare un ottimo terreno di crescita; infatti, anche se in piccola quantità, è presente anche in Sicilia.
Si è diffuso principalmente in litorali mediterranei in Francia e in Italia assecondando fattori geologici e climatici.
In Italia sono 4000 gli ettari di Vermentino coltivati in tutto di cui 75% in Sardegna, 15% in Toscana, 6% in Liguria 2% in Piemonte.
In Corsica e in Francia è coltivato su 850 ettari di cui l’80% sono in Corsica dove prende il nome di Rolle.
La Corsica, in particolare, ha le caratteristiche pedoclimatiche migliori per il vitigno che è, infatti, la principale varietà di tutte le AOC che prevedono tipologie bianche e dove permette una superba prova di vinificazione.
In Sardegna, il Vermentino di Gallura è stata ed è la prima e, per ora unica, DOCG isolana. La varietà giunse probabilmente dalla Corsica nel 1800 e si diffuse soprattutto in Gallura per povertà del terreno costituito da detriti granitici.
Oggi è la seconda uva bianca dopo il Nuragus e sono davvero ottimi i Vermentini coltivati oltre i 500 metri.
In Piemonte viene coltivato a Cuneo, Asti e Alessandria prende il nome di Favorita. Cresce nel Roero, terra a sinistra del fiume Tanaro dove, a destra, ci sono le Langhe, nelle province di Asti, Cuneo e Torino.

Per quanto riguarda la Liguria, Gallesio lo aveva definito il vitigno prediletto dal Genovesato dove era indicato anche come Pigato o Vernaccia. Ancora oggi nella regione è la varietà più importante e si adatta bene alla terra ligure al punto da essere coltivato in tutte e quattro le province. Si stima sui 250 ettari.
A Genova è diffuso in zone di non grande estensione, prevalentemente in collina, nella Val Polcevera, Coronata, Nè, Casarza, Moneglia e Santa Margherita.
In Toscana lo ritroviamo prevalentemente nelle province di Massa, Lucca e Grosseto ma anche a Pisa e Livorno luoghi in cui variano i parametri climatici ma anche le caratteristiche pedologiche.
A Massa, nei Colli Apuani, vi sono arenarie, alberesi e terreni scistosi; è zona acida con poco calcare.
A Lucca, Pisa, Pistoia e Livorno i terreni sono argillosi e limosi con depositi marini che sono prevalentemente acidi.
I terreni del Grossetano sono invece alluvionali e limosi.
Il vitigno si adatta a tutte le situazioni.
Oltre che in Toscana, Liguria, Piemonte e Sardegna, il Vermentino è presente nelle Marche, in Abruzzo, nel Lazio, in Umbria e in Sicilia e Puglia.
AMPELOGRAFIA
Il Vermentino ha tanti nomi, Piccabon nelle Cinque Terre, Rolle nel territorio di Nizza, Verlantin nella zona di Antibes in Francia, Malvoisie a gros grains nelle Francia meridionale, Favorita e Pigato nel Piemonte e nel Ponente ligure.

Certo è, che, col passare del tempo, il Vermentino si è diffuso dalla Liguria alle zone più meridionali come le zone collinari delle Alpi Apuane in provincia di Massa Carrara dove si è ben acclimatato e nelle aree della litoranea Toscana come la Maremma grossetana e quella livornese e poi nell' isola d'Elba, finendo per acquisire caratteristiche varietali che lo hanno reso un vitigno per ogni zona diverso sia da quello ligure che da quello sardo.
Oggi il Vermentino viene considerato simile alla Favorita e al Pigato, vitigni dell'area nord occidentale, tra la Liguria e il Piemonte, ma una recente ricerca del CNR di Torino ha dimostrato che appartengono ad una unica varietà-popolazione cioè che sono cloni diversi di un'unica varietà.
Ha foglia medio grande, pentagonale, verde scuro il lembo superiore, più chiaro quello inferiore,il grappolo e'medio, cilindrico, mediamente spargolo, l'acino medio-grosso, sferoidale, di colore giallo verdastro o giallo ambrato, con polpa succosa di sapore neutro. Possiede un aroma caratteristico, pur se cangiante con l’ambiente di coltivazione; si adatta tuttavia con grande ecletticità a diverse situazioni climatiche ed ambientali, fornendo con regolarità produzioni di ottimo pregio. In genere riesce a conservare un buon patrimonio aromatico abbinato ad una adeguata acidità fino alla maturazione piena.
(Cit. da
Mario e Costanza Fregoni Pier Paolo Lorieri e Matteo Marenghi
Vermentino, vitigno che sente il mare
ed. Bandecchi e Vivaldi )
A Milano, organizzato da Onav, l’11 settembre 2014, si è tenuto un Banco di Assaggio solo di Vermentino di varia provenienza, dalla Francia, dalla Sardegna, dalla Corsica, dalla Liguria, dalla Toscana.
Tutti ottimi vini, da mettere in particolare rilievo:

Domaine Vico 2013 Appellation d’origine protegèe Corse

Domaine D’Alzipratu, Flume Seccu blanc 2013,
Appellation Corse Calvi Controllèe

Clos Santini Haut Vigne 2013, Appellation d’Origine Protegèe Patrimonio