Il consorzio Tutela Ovada DOCG ha organizzato l’evento “E’ Ora di Ovada”, sabato 31 gennaio 2015, presso l’enoteca “Quartino di vino” di via Roma 23, con una degustazione verticale di 13 vini Dolcetto Docg dal 1985 al 2010, presentati da alcuni dei produttori dei 22 Comuni di appartenenza alla DOCG che hanno raccontato, attraverso la presentazione del loro vino, le caratteristiche del territorio e le metodologie di vinificazione in una panoramica vasta sia dal punto di vista geografico che storico, in quanto sono stati ripercorsi e riproposti trenta anni di storia del Dolcetto di Ovada.Del vitigno Dolcetto, che produceva tradizionalmente un vino di scambio tra Piemonte e Liguria, lungo la famosa “via del sale”, le prime notizie risalgono ben al 1593, anche se la prima citazione scientifica è datata 1798 quando il conte Giuseppe Nuvolone Pergamo, vicedirettore della Società Agraria di Torino, descrisse accuratamente le qualità del vitigno.
L’origine di questa tipologia di uva è contesa tra il Monferrato e la Liguria e anche il nome “dolcetto” ha diverse interpretazioni: potrebbe derivare dalla dolcezza dell’uva matura ma anche dal termine”dosset” cioè bassa collina.
(http://mariaenrica-vinivitigni.blogspot.it)
Grazie alla naturale vocazione della zona, il Dolcetto nei 22 Comuni dell’Ovadese eletti a poter coltivare la DOCG e che sono: Ovada, Belforte Monferrato, Bosio, Capriata d’Orba, Carpeneto, Casaleggio Boiro, Cassinelle, Castelletto d’Orba, Cremolino, Lerma, Molare, Montaldeo, Montaldo Bormida, Mornese, Morsasco, Parodi Ligure, Prasco, Rocca Grimalda, San Cristoforo, Silvano d’Orba, Tagliolo Monferrato e Trisobbio, si esprime in modo ottimale anche se diverso per ogni terroir in quanto è vitigno in grado di produrre sia vini fruttati e freschi, di pronta e gradevolissima beva, sia vini di sostanza e struttura ottimi per l’invecchiamento.Proprio questo tema è stato il filo conduttore della degustazione:
la differenza tra i Dolcetti delle “terre bianche “ cioè terre calcaree, gessose e sabbiose e i Dolcetti delle “terre rosse” a base sostanzialmente argillosa.
Le “terre bianche “ donano ai vitigni acidità preziosa che sostengono nel tempo il vino e lo rendono longevo e adatto all’invecchiamento mentre le “terre rosse” regalano meravigliosi vini fruttati e profumati da bere subito.
I Dolcetti in degustazione sono stati delle Aziende:
La Piria di Rocca Grimalda, vendemmia 2010Facchino di Rocca Grimalda, vendemmia 2009
Cà del Bric di Montaldo Bormida, vendemmia 2007
Cascina Boccia di Tagliolo, vendemmia 2007Casa Wallace di Cremolino, vendemmia 2006
La Ghera di Molare, vendemmia 2004
Cascina Gentile di Capriata d’Orba, vendemmia 2003La Guardia di Morsasco, vendemmia 1999
Ghio di Bosio, vendemmia 1998
Castello di Grillano di Ovada,vendemmia 1996Pino Ratto di Ovada, vendemmia 1993
Bisio di Carpeneto, vendemmia 1990
Pesce di Silvano d’Orba, vendemmia 1985
Tutti ottimi vini, dal bel colore rubino, più o meno intenso a seconda dell’annata e dell’invecchiamento, secchi ed asciutti con il tipico retrogusto amarognolo che contraddistingue questa tipologia, molti maturati in legno e molti in acciaio, alcuni freschi e di bella morbidezza altri, i più vecchi, ben strutturati ed esaltati dalla permanenza in legno.
Interessante è stato l’intervento della Dott.ssa Elisa Paravidino, responsabile dei Vigneti della Tenuta Cannona che è il Centro Sperimentale Vitivinicolo della Regione Piemonte ed ha sede in uno dei comuni dell’Ovada DOCG, il Comune di Carpeneto.
L’attività della Tenuta Cannona, fondata nel 1897 su 54 ettari, è stata descritta riguardo le attività di sperimentazione di cloni e di microvinificazioni ma, soprattutto, circa i progetti riguardanti le uve Dolcetto che prediligono i terreni collinari asciutti e poco fertili, le zone argillose e le marne bianche mentre risentono negativamente dei terreni pesanti e ricchi.
La verticale ha visto la partecipazione di alcune aziende di produttori non più attivi, in particolare è stata commovente e sentita la rievocazione del produttore Pino Ratto ricordato da Carlo Ricagni per i suoi grandi vini ma soprattutto per le sue grandi intuizioni enologiche che metteva a disposizione degli amici vinicoltori. Trasmise agli amici il suo concetto di “terroir” assimilato attraverso l’osservazione delle colline dopo una nevicata affinchè si potesse capire meglio dove lo strato sotterraneo insinua il suo calore per sciogliere prima le nevi e trasmise anche l’uso del legno che lui prediligeva nella maturazione del vino, quando, tra i primi, sosteneva che il Dolcetto è un vino longevo, a patto che i vitigni siano ben posizionati e che il vino riposi in legno il tempo giusto. Aveva ragione , oggi abbiamo degustato ottimi Dolcetti invecchiati anche venti e trenta anni.
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